Recensioni (a modo mio)

Senzanome – Mirfet Piccolo

Senzanome” è la luce del sole che ferisce gli occhi, è la strada bagnata vista da un paio di lenti da vista, è la pioggia che diventa grandine.

La trama: Senzanome

In questo romanzo c’è una bambina, ragazza, donna Senzanome. Non hanno nome la madre dai denti marci che la prende a calci e la chiama sempre “scimunita” e “ingrata”, la sorella dagli occhi troppo blu che pare la favorita, l’amico di famiglia che le infila le mani nelle mutande, il ragazzo quasi uomo della comunità che entra nella sua stanza spesso e si slaccia in pantaloni, i compagni di scuola che la trovano grassa e che pensano abbia capelli troppo ispidi. Non hanno nome i persecutori, i nemici, e persino il suo peluche preferito. In una periferia milanese che arriva fino alla provincia, con gli occhi verso i treni che partono e scappano verso nuove vite e possibilità, si allunga questa storia, di una bambina cresciuta che non si rassegna a essere la vittima con le unghie e i denti ricostruisce pezzo pezzo le menzogne e i dolori del passato, fino al presente, fino alla liberazione.

Recensione

Senzanome”, scritto da Mirfet Piccolo ed edito da Giulio Perrone, stermina qualsiasi particella di anima. 

Partiamo dal libro come oggetto concreto.

Giulio Perrone è una casa editrice che, in realtà, conosco non da moltissimo, ed è stata una scoperta magnifica. 

La grafica, la carta con cui viene stampato il libro, la cura dei dettagli: nell’aletta posteriore, si trova la possibilità di crearsi un segnalibro con l’immagine del libro stesso. Io sono follemente innamorata di queste piccole chicche. 

Ciò che questo libro custodisce al suo interno rispecchia maniacalmente la cura che hanno messo nel comporlo (e presumibilmente molti altri). 

Senzanome” parla di una donna ormai diventata adulta che lascia le vesti di chi è, per tornare a chi è stata, tramite un blocchetto di post it interamente scritti con tratti di vita passata. Una donna che ha una figlia di sei anni. Una figlia di sei anni che si fa domande alla quale la donna risponde con le stesse risposte che non le hanno mai dato. 

Questa donna rispolvera questi 253 foglietti, attaccati uno sull’altro, un foglietto per ogni strato ferito, e ripercorre così la sua vita da bambina, un’esistenza violata, presa a schiaffi, resa crudele. 

Dieci anni quanti sono? Dieci anni sono tanti o pochi?” 

È questa frase, la bambina, che ripete in tutto il libro, chiedendosi se sono tanti o pochi perché qualcuno si masturbi attaccato a lei su un autobus; se sono tanti o pochi per essere violentata; se sono tanti o pochi per essere picchiata, ripetutamente, dalla madre; se sono tanti o pochi per venire ingannata, abusata, lacerata. 

Così questa bambina entra nei libri per uscire dalla realtà, perché sa che lì non le faranno nulla, perché sa che lì sarà al sicuro, perché sa che lì potrà entrare in un mondo diverso. 

Una bambina a cui piace l’ordine, perché l’ordine, nella sua vita, ha sempre significato sicurezza “e non fa niente se tu sparisci in un abito, tanto non ci sei comunque”: meglio sparire consapevolmente, prima che ti facciano sparire gli altri, con un gesto o con un mancato sguardo. 

Senzanome” è un libro oltremodo femminista, che racchiude tante violenze o abusi che la donna (non sempre il sesso femminile, ma ha una prevalenza maggiore) è costretta a subire ogni giorno, da altre persone, senza volerlo, senza dare mai il consenso, senza poter mai decidere per sé.  

Ma perché sei sempre arrabbiata? Sei sempre in trincea. Sei troppo silenziosa. Sei aggressiva. Rilassati. Vieni e sparisci e non ti fai più sentire. Cosa pretendi? Non sorridi mai. Sei trasandata, dovresti essere più femminile. Sei selvatica. Sei la figlia di nessuno. Prendi sempre tutto sul serio. Pensi solo ai libri. Non sei né carne né pesce. Però sei dimagrita, sembri quasi carina. Ti vesti come un maschio. Ti vesti antistupro. Sei malmostosa. Sei strana. Come sei misteriosa. Odori di selvaggina. Fammi un pompino.

Senzanome” è tutte noi che vorremmo dire NO, ma siamo paralizzate dalla paura. 

Senzanome” è tutte noi che vorremmo avere la possibilità di raccontare, ma ci viene deriso, negato, dimenticato. 

Senzanome” è tutte noi, stanche di portare fardelli troppo pesanti, stanche di trainare tutto il mondo, che ci riversa problemi dove noi vediamo fiori. 

Mirfet Piccolo, con “Senzanome” è riuscita a scardinare molti punti focali di questa società: ne ha fatto parola, poi frase, poi storia. 

Ed è così che si snoda in una scrittura asciutta, sintetica, ma non per questo meno dilaniante, meno empatica. Una scrittura reale, che pone il lettore davanti a parole che sembrano fin troppo dei fatti. 

La struttura del romanzo ha una consistenza solida, aiutata dallo stile, ma difficilmente digeribile dal tema. 

Ci si incammina in un  percorso a ostacoli, perché vengono affrontate diverse tematiche sociali (la violenza su minori, gli abusi, lo stalking, una legge che non ripaga chi riesce a parlare, ecc) e queste, seppur si riesca a crescere, rimangono sotto pelle, come una fittissima coltre di buio. Ed è infatti dal buio, principalmente da quel buio che sente dentro di sè, di cui la bambina ormai donna ha paura. 

Senzanome” è il nome che la bambina dà al suo orsacchiotto, ma è anche il nome di tutti i personaggi di questo romanzo, perché nessuno ha un nome, nemmeno la protagonista: se tutto il mondo non ha fatto altro che non amarti e non volerti, la mancanza di abito e di nome non hanno importanza in una cosa già morta, divorata, mangiata viva. 

Senzanome” è un romanzo scritto senza ombra di vittimismo, solo con la voglia e la possibilità di potersi riscattare, in questa vita o nell’altra.