Fatti e misfatti personali

Di anno in anno: sempre Roma. Capodanno Capitolino.

Il mio Capodanno Capitolino è stato frenetico, ma se si dice Roma, si dice vita, ed io, per l’ennesima volta , l’ho vissuta.

Capodanno Capitolino: la mia esperienza.

In quel marasma che è stato Capodanno, mi son ritrovata nuovamente a Roma, nella mia città, nella mia seconda casa, in compagnia di una persona a me cara. Come si fa a non innamorarsi perdutamente di lei: una lei così passionale, eccentrica, piena.

Nei due giorni consecutivi mi son ritrovata a fare 21 km a piedi, zaino in spalla o senza zaino; a parlare con una donna francese (e che donna), incuriosita dall’amaro dentro al mio bicchiere ed ammaliata dai miei capelli ricci e rossi; a mangiare in un posto scarso, spendendo, poi, una follia, ed in un posto, il giorno dopo, magicamente romano, trovato per caso e per fortuna, con supplì, gricia e cacio e pepe che rimarranno impressi ancora molto a lungo nella mia memoria, ma anche nella memoria della signora seduta al tavolo a fianco, che era, però, decisamente troppo ansiosa: te lo dice una cameriera, “stai relax”.

Mi è capitato di sentirmi spossata dopo le gradinate di Piazza di Spagna, con la quale, anni prima, decisi di non avere niente a che fare: in quei due giorni, due volte a scendere e due a salire.

Mi è capitato di passare in mezzo ad un gruppo di ragazzi che cantavano a squarciagola “Sarà perché ti amo”: anche questa è Roma.

Mi è capitato, la sera stessa di Capodanno, di incontrare due artisti di strada: un ragazzo giovane, con la chitarra elettrica, ed un signore anziano, col violino, che di anziano, nei modi di muoversi, aveva poco o niente. Mi piace pensare avessero un legame particolare, quei due personaggi, che subito dopo si son messi a suonare “Hallelujah” di Leonard Cohen. Un momento estatico, che univa una Roma meravigliosamente agitata alla musica, meravigliosamente Lei. Così, invece che fare video, foto o vocali, ho chiuso gli occhi, perché credo che una città come Roma vada vissuta ad occhi chiusi con i palmi rivolti all’insù, aperti, pronti a sentire ogni cosa.

Poi che è successo d’altro? A parte la doccia rotta, i mal di stomaco fastidiosi, una quantità di gente impressionante, i muscoli devastati ed un caldo anomalo, niente. Assolutamente niente. Assolutamente Roma.

Conclusioni.

Sono consapevole del fatto che non è New York, ma è la città che mi ha rapito il cuore, e questo rimarrà. Per sempre.